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USCITE, VIAGGI, SCAMBI
Il campo di concentramento
di Ferramonti
Raccontato ne “Il paradiso inaspettato”, spettacolo a Desenzano del Garda per le scuole in occasione della Giornata della Memoria
Domenica 3 marzo 2024
Il 31 gennaio 2024, la mia classe 3G TUR, insieme alla 3L SSAS, è andata all’Auditorium “Andrea Celesti” di Desenzano per assistere allo spettacolo di Lucilla Perrini “Il paradiso inaspettato”, rappresentazione teatrale dell’incredibile storia, tristemente poco nota, che ebbe il “Campo di Ferramonti”.
Questo campo di concentramento, sorprendendo tutti, finì per diventare un vero e proprio “paradiso” per quei fortunati ebrei e altre persone internate provenienti da ogni dove che credevano sarebbero stati torturati e uccisi, come tutti gli altri sfortunati che finirono nei vari campi di concentramento dell’epoca.
Prima di iniziare con la mia riflessione riguardante una storia che è rimasta sconosciuta per anni, è giusto introdurre brevemente il contesto e la trama dello spettacolo.
Siamo nel campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia, campo aperto nel 1940 in Italia, che ospitava circa 4.000 ebrei e antifascisti provenienti da diverse parti del mondo. Nonostante il solito obiettivo che ogni campo di concentramento faceva di tutto per raggiungere, gli “sfortunati” che arrivarono a Ferramonti venivano trattati inaspettatamente con rispetto e dignità, un’umanità sconosciuta negli altri campi. All’interno della struttura, ad esempio, non solo si mantenevano i legami familiari senza problemi, ma venivano organizzate varie attività tra cui quelle culturali, sportive, religiose e sociali. Sorprendentemente, esisteva persino un parlamento democratico, nonostante il periodo politico che si stava attraversando.
Questa vicenda, per qualche motivo tenuta all’oscuro per anni e anni, dimostra che, anche nei momenti più difficili e cruenti della storia dell’umanità, coloro che sono in grado di andare contro e ribellarsi alle forze superiori che predominano il mondo politico possono fare una grande differenza, riuscendo a creare quello che nessuno, all’epoca, sarebbe stato in grado di creare.
Dello spettacolo mi ha colpito particolarmente non solo la fantastica interpretazione e narrazione di Sergio Mascherpa, ma anche la vicenda estremamente toccante, davvero insolita, forse l’unica ambientata in una situazione simile che ha avuto un vero e proprio lieto fine. Non è stata una pura casualità se a Tarsia è andata così, ma chi è riuscito a tenere la testa alta e ad essere coerente con i propri ideali (senza tirarsi indietro e senza farsi condizionare dal clima insensatamente cruento e senza pietà dilagante né dalle forze politiche superiori, che di diritti umani non ne volevano sapere) ha un nome e cognome. Fondamentale infatti fu Paolo Salvatore, uno dei funzionari di polizia che condussero il campo di internamento con così grande umanità, da essere annoverato fra i “Giusti delle nazioni”.
Egli non fu solo: con lui furono tutte le persone che collaborarono in quel campo a fare la differenza, cioè coloro che colsero la possibilità di distinguersi, anche se consapevoli del gigantesco rischio che correvano nel mantenere quel piccolo, grande “paradiso” che fu in grado di sopravvivere anche in momenti di grande difficoltà e pericolo. Il racconto di questo campo è solo grazie a loro, è grazie alle persone. Grazie al loro senso di comunità.
Il significato del titolo “Il paradiso inaspettato” è oramai ben ovvio; è un titolo che va subito a sottolineare come il campo di Ferramonti, all’inizio costruito come uno dei migliaia di campi di concentramento presenti in Europa (e, più nello specifico, costruito uguale a quello di Dachau), è riuscito a distinguersi e a rivelarsi una struttura con regole e obiettivi totalmente diversi. Lì non solo tutti all’interno del campo riuscirono a salvarsi, ma riuscirono anche ad avere una vita sociale vera e propria: si potevano svolgere matrimoni, continuare la propria istruzione e, in un’occasione, proprio grazie a Paolo Salvatore, pure fare in modo che i bambini potessero uscire per prendere il gelato! Lì la vivacità delle persone e della comunità non mancava. Parlando metaforicamente, si può ben dire che questo campo è stato come un seme che riuscì a germogliare e portare vita anche in un’epoca piena di migliaia di cadaveri e ingiusta sofferenza, in un terreno contaminato.
Questo racconto mostra bene come noi esseri umani, nonostante tutto quello che ci può accadere, anche nelle situazioni più tragiche e sofferenti, riusciamo sempre a trovare il modo per cambiare e andare avanti, oltre tutto ciò che ci fa male. Neanche le forze più struggenti e senza pietà ci possono togliere: la nostra speranza, la forza di volontà che abbiamo per cambiare, la nostra umanità.
Michela Maria Vittoria Leonardis, 3G TUR